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Cos'è l'empatia e il suo ruolo mediatore intergruppi

ll termine empatia deriva dal greco empateia e significa ‘sentirsi dentro l’altro’. Si tratta, infatti, della capacità di mettersi nei panni dell’altro, aprendosi emotivamente e cognitivamente per comprenderne sentimenti e pensieri. Bateson definisce l’empatia come una ‘risposta emotiva orientata verso l’altro, congruente con la percezione del suo benessere‘. Secondo Eisenberg, il processo che conduce a provare empatia può essere suddiviso in tre capacità:

  • di discriminare e riconoscere in modo corretto le emozioni che esprime l’altro;

  • di assumere la prospettiva dell’altro;

  • di saper rispondere all’emozione altrui con un’altra altrettanta congrua.

Nel rapporto intergruppi l’empatia sembrerebbe avere un ruolo centrale. Numerosi studi, infatti, hanno mostrato che indurre uno stato empatico nei confronti di una persona appartenente ad un gruppo stigmatizzato può ridurre il pregiudizio verso l’intero gruppo ed accrescere la percezione di appartenere ad un’unica categoria (quella umana) e di condividere un destino comune. Nel merito, dai risultati di un interessante studio che è stato condotto da Voci e Hewstone, emerge che il contatto riduce l’ansia ed aumenta l’empatia, che a sua volta migliora l’atteggiamento. L’empatia, inoltre, contribuendo ad incrementare la percezione di eterogeneità dell’outgroup, determina una significativa riduzione del pregiudizio, anche di quello sottile. Gli autori, inoltre, rilevano vantaggi e limiti dell’empatia come fattore di mediazione del contatto:

  • vantaggi: è facile da indurre; non coinvolge situazioni ‘a rischio’; è maggiormente controllabile rispetto alle interazioni reali. Essendo una risposta emotiva può avere degli effetti notevoli sul pregiudizio e sul conflitto intergruppi; evoca motivazioni altruistiche slegate dal sé dei partecipanti.

  • limiti: è un fenomeno tipicamente interpersonale, per cui è bene che durante il contatto le appartenenze di gruppo siano tenute in considerazione. A tal proposito, non sempre viene associata al rispetto per l’altro, infatti, condiscendenza e percezione di sé percepite come superiori, non riducono il pregiudizio; permane il rischio che il gruppo venga considerato responsabile della situazione di difficoltà e che la conoscenza di tali situazioni possa attivare risposte difensive.



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